lunedì 21 giugno 2010

2010: ODISSEA VERSO CASA...


Anno 2010: 20 giugno.
Città: Milano.
Missione: arrivare a casa.
Fatti: prendo il treno da Bologna, Eurostar già in ritardo di 20 minuti, che, con impegno e costanza, riesce ad accumularne altri 10 per arrivare ad un totale di mezz'ora (che non è male per un Eurostar della domenica). Arrivo in Stazione Centrale alle 23,50. Con passo felpato, ma deciso, mi dirigo, certa degli orari della metro in mio possesso,verso l'accesso al meneghino tube. Conto le differenze tra gli orari in mio possesso e quelli appesi sulla bacheca in stazione. Con rammarico mi rendo conto che le differenze sono più di 10. Purtroppo l'averlo scoperto non provoca in me sommo gaudio e gioia. Ma attendo. Nessun annuncio si ode. Eppure, quando dovrebbe arrivare la metropolitana con la destinazione a me utile, ne arriva un'altra. Mantengo la calma. Verifico il tabellone parlante. Il tabellone non parla mai della mia meta: PERCHE'? Mantengo la calma, piango e sbraito al telefono con un povero fidanzato a distanza che non può essermi minimamente d'aiuto. Nel frattempo la mia pancia lievita e quella che pensavo essere una gravidanza isterica per allontanamento dal fidanzato, si palesa come colite spastica. La rabbia isterica coinvolge ogni muscolo del mio viso, le cui espressioni riescono ad allontanare i peggio malintenzionati che frequentano i mezzi pubblici di notte. Prendo la metro con meta diversa da quella a me utile. Scendo a Crescenzago. Riguardo il tabellone parlante. Ma ancora si ostina a non nominare la mia meta. Con passo calmo e disteso, mi dirigo verso l' "omino del gabbiotto atiemmino" e con voce calda e suadente mormoro: "Ma si può sapere come ci arrivo a Gessate? Non esistono più metro per Gessate?!?!" L'omino sorride e con fare pacato, mentre sigilla ogni ingresso alla stazione, mi fa presente i milioni di annunci fantasma che il mio udito, non essendo bionico, ha perso e che avvisavano la gentile clientela che per arrivare a Gessate, causa lavori di manutenzione che facciamo solo per te, amico utente, per arrivare a Gessate devi, innanzitutto, iniziare a pregare, poi prendere la metro fino alla stazione di Gobba, poi un autobus, poi un'altra metro. E che dio ti benedica.
Non ho altra scelta. Mi rifiuto mentalmente di chiamare chiunque all'una di notte di domenica. Salgo sulla metro, più volte definita dall'autoparlante come "l'ultima metro" ... e questo provoca quella sensazione tipica dell'ignaro sfigato che palesemente va incontro ad un destino terribile nei film horror: L'ULTIMA METRO!
Accetto la sfida. Scendo alla stazione Gobba, vado all'autobus di collegamento (che non ha nessun altra definizione utile, tipo cartelli indicanti "Autobus per Cassina de Pecchi" o altre informazioni del tipo). La nebbia della rabbia si dirada e mi guardo attorno. Chi sono i miei compagni di viaggio? Extracomunitari, ragazzini di 16 anni, qualche strano personaggio sui 50 anni, una bella ragazza. Dopo una guida spericolata, si raggiunge la stazione di Cassina De Pecchi, si salgono le scale e si ATTENDE LA METRO. Già l'attesa di 5 minuti mi snerva, mi aspettavo un tappeto rosso, delle hostess gentili che ti offrono da bere e che si rammaricano costantemente per il disagio. Invece no. E quando arriva la metro e tutti e 20 i superstiti salgono allegramente, il mezzo non parte. Attendo. Fomento. Esplodo. Percorro a grandi passi, con la valigia sulla spalla, tutto il corridoio della metro e busso alla porta del guidatore. Un piccolo omino atiemmino con gli occhietti piccini mi dice: "Dica?" e io rispondo "Quando avete intenzione di far partire questo mezzo?". "Signora," (già dire signora a me mi fa girare ...), "... io devo rispettare gli orari, mica posso fare quello che voglio, anch'io me ne voglio andare a casa!" e si chiude dentro. Ed io, da sola, come un'anziana isterica SIGNORA dico: "Ma quali orari e orari, l'ultima metro doveva partire da centrale alle 00.49 e alle 1.30 era a Gessate da mò e invece siamo ancora qui." Le forze mi abbandonano. Crollo sul sedile. La metro parte. Arrivo a Gessate. Prendo la bici. Arrivo a casa. Sono le ore 1.50. Partorisco. E mentre sto per addormentarmi penso, alzando un dito al cielo: "Aaah, ma non finisce qui!".

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